L'angolo dello scrittore

La rivolta del pane: sapere come scelta di un impegno

Maurizio Canosa – Docente  di Filosofia e Storia

 A leggere i recenti dati della FAO, si scopre che i prezzi dei generi alimentari nel mondo sono aumentati in questo ultimo periodo toccando livelli record. Si scopre inoltre che una delle cause della rivolta del pane nel Maghreb è da ricercarsi primariamente in questo fattore, unito alla non secondaria circostanza che il colossale giro d’affari del settore alimentare sul pianeta (600 miliardi di euro l’anno) sembra in buona misura condizionato da qualche centinaio di aziende occidentali specializzate in commodities agricole che controllano il mercato e che, insieme alla politica protezionistica dei vari paesi produttori, contribuiscono a incentivare la speculazione, gestendo i tempi di consegna, le scorte in magazzino e, dunque, l’andamento dei prezzi. Così, sulla faccia della terra la povertà continua a resistere più che mai e, manco a dirlo, non pare piovere dal cielo come un flagello biblico ma ha ragioni socioeconomiche precise. Qualcuno dirà che questa è la solita retorica terzomondista. In realtà, c’è poco da perdersi in bizantinismi intellettuali. Secoli di storia del pensiero e siamo ancora qui a chiederci una motivazione, una Verità, un Senso. E nonostante l’impegno per rifiutare i dogmi di ogni tipo, nonostante l’animo liberale con cui ammiriamo la multiformità delle opinioni – o forse proprio per questo – eccoci qui a cercare una via nel labirinto di Minosse. Come indirizzare il nostro impegno in politica e nella società civile? Giovani e meno giovani se lo chiedono di continuo ma la risposta forse è meno difficile di quel che sembra: cominciando a informarsi sulle cose vere, diremmo banalmente. I meno ostinati, a ben vedere, sono già fermi in mezzo al guado, poco avvezzi alla seccatura della complessità. Hanno gettato le ancore e alzato bandiera bianca perché, dicono, dal momento che tutto ha valore, niente ha valore. Per cui non rimarrebbe che un pensiero asettico in cui riposare. Eppure sarebbe facile trovare un percorso e una direzione. Il disimpegno, oggi, non deve essere una scelta di comodo per la mancanza di un’ideologia. La povertà, la guerra, l’ingiustizia, lo squilibrio economico, la fame: rispetto ai tempi in cui operavano Marx o Gandhi, i problemi sono gli stessi nella specie, ma più acuti nella dimensione. In questo senso, dovremmo convincerci che non è più necessario scovare un perché – così evidente da risultare imbarazzante – ma un come. Poche scuse: sappiamo perfettamente dove si annidano i motivi per un’azione giusta. Se solo avessimo abbastanza coraggio per volgere lo sguardo ormai disincantato sulla carne sanguinante del mondo, ci accorgeremmo che questa realtà in cui viviamo non è affatto priva di consistenza e di corpo. Pare offrire poco da mordere, soltanto perché siamo annebbiati dalla coltre fumosa di un triste e facile edonismo, di un cinismo disperato, di un qualunquismo a costo zero. Ed è sempre più forte la sensazione di vivere dentro una virtualità perenne, sottomessi cioè al dominio delle cose che non esistono. Ancora oggi, dopo millenni, l’universo apparente della caverna platonica rischia di averla vinta sulla brutalità di un mondo vero, quello che non si vive in cattedra, ma si sconta sulla pelle.